Cosa vedere a Scilla: sogni ed emozioni contemplando lo Stretto di Messina dalla Calabria
La bellezza della Costa Viola, in provincia di Reggio Calabria, è ammaliante.
A queste latitudini, i colori del mare, della vegetazione, delle case, dei pesci, sono i colori di un Sud autentico.
Seguite gli approfondimenti di Core Calabro per capire cosa vedere a Scilla, che è la celebrità turistica della Costa Viola.
Visitare Chianalea di Scilla, la piccola Venezia
Vista dall’alto, o dal mare, Scilla si caratterizza per il suo imponente scoglio promontorio nel mar Tirreno.
Il grande scoglio divide il litorale in due zone: la spiaggia di Marina Grande (col quartiere Spirito Santo) a sud-ovest e l’affascinante borgo marinaro di Chianalea a nord-est.
Le viuzze di Chianalea si dipanano a pochi metri dall’acqua, tra una casa e l’altra ogni scorcio di mare è un quadro da ammirare.
In cima alla roccia il vecchio castello, proprietà tra ‘500 e primi dell’800 della famiglia Ruffo. Siamo a una manciata di km dallo Stretto di Messina.
Proseguendo in auto o in moto verso Villa San Giovanni, presso località Porticello-Santa Trada, siete in pratica all’ingresso dello Stretto, di fronte a Capo Peloro della sponda messinese.
La pesca del pesce spada a Scilla
La cittadina sullo Stretto è un luogo simbolo della Calabria marittima.
Per alcuni food blogger è la migliore cucina calabrese di pesce spada.
L’esperta marineria locale è specializzata nella cattura dello Xiphias gladius, cui si dà la caccia con le imbarcazioni chiamate “spadare”.
Ma Scilla è anche un paesaggio da cartolina evocativo di sogni e miti legati al mare.
Scilla tra miti e leggende
C’è un mito che riguarda Scilla, consegnato ai lettori di tutto il mondo da Omero nell’Odissea, ma anche da altri autori formidabili, come Ovidio nelle Metamorfosi.
Ve lo raccontiamo, pur sapendo che del mito esistono sfumature e varianti che possono alterarlo.
Il mito di Glauco
Glauco era un pescatore della Beozia (antica Grecia), il cui destino mortale mutò quando assaggiò un’erba miracolosa.
Egli vide che i pesci appena pescati, messi a contatto con una determinata erba riprendevano vita. Allora Glauco fu vinto dalla tentazione di provare anch’egli quei ciuffi verdi che spuntavano dalla sabbia.
Si ritrovò in poco tempo travolto da un irrefrenabile istinto di immergersi nelle acque del mare. Stava subendo una mutazione.
Il mare era divenuto il suo spazio vitale e il suo corpo, oggetto di trasformazioni fisiche, stava diventando quello di un pesce!
Prendevano forma grandi braccia dai riflessi azzurri come pinne e una barba che rassomigliava alle alghe dei fondali.
Era diventato un dio marino !!
Glauco s’innamora di Scilla
Nuotando in lungo e in largo nel Mar Mediterraneo, Glauco un giorno fu attratto da una bella fanciulla.
La ragazza trascorreva molta parte del suo tempo in spiaggia (diversi testi fanno riferimento alla battigia messinese).
Si chiamava Scilla (nel poema omerico vien considerata figlia d’una dea di nome Crateide).
Ragazza schiva, rifiutò molti pretendenti amorosi, sembrava che solo il mare fosse il suo diletto.
Mentre stava facendo un bagno, Glauco la sorprese e la impaurì non poco.
Era innamorato e la pregò con dolci parole di corrispondere il suo amore. Non ci fu verso. Scilla declinò l’invito.
Glauco era disposto anche a imbrogliare, pur di stregare il cuore della ragazza, allora si rivolse alla maga Circe per una pozione magica.
Ma quella diabolica di Circe s’invaghì a sua volta di Glauco, e a lui si offrì.
Glauco era però inossidabilmente legato alla passione per Scilla, ed espresse un secco rifiuto a Circe.
L’incantesimo della maga Circe
La maga mise in atto una crudele vendetta: preparò un intruglio malefico che andò a versare nelle acque dove Scilla soleva fare il bagno.
Un maledetto giorno Scilla mise piede in acqua e, in pochissimo tempo, vide stravolgere il mondo intorno a sé.
Dalle anche in giù il suo corpo era ora posseduto da sei teste mostruose di cani ringhianti, divoratori d’ogni cosa che gli passasse davanti.
A Ulisse toccò l’orrenda visione dei suoi compagni trucidati da Scilla.
Secondo la leggenda il “mostro” si era andato a rifugiare in una buia spelonca sulla sponda opposta a Messina, una caverna dalla quale si sentivano spaventosi latrati.
Da lì attentava alla vita dei naviganti, che spesso venivano ferocemente sbranati dalle sei teste di cani rabbiosi.
Interpretare il mito
Scilla e Cariddi
La mitologia offre trame fantascientifiche per giustificare i pericoli realmente esistenti di attraversamento di quello stretto.
In effetti i cambi di direzione delle correnti marine, e le tempeste, provocavano molti disagi e naufragi.
Per tal motivo si narra anche di un’altra “creatura” dirimpetto a Scilla, ovvero quel gorgo inghiottitore di navi e uomini chiamato Cariddi, cui lo stesso Ulisse si sottrasse con furbizia e coraggio.