Joachim Murat, l’ultimo atto di un gigante senza paura
Una vita da film, protagonista assoluto delle epiche imprese del generale Bonaparte, poi re di Napoli, e infine piombato dentro la storia calabrese, con la morte per fucilazione nel castello di Pizzo Calabro. L’ultimo episodio militare di un’epopea napoleonica che ha segnato molti paesi del Sud Italia.
Il cognato più famoso di Napoleone Bonaparte era un tipo dalla personalità piuttosto prorompente. Questo era evidente sia sul campo di battaglia – dove non esitava un secondo a lanciarsi furibondo a cavallo contro le schiere nemiche – sia nei rapporti interpersonali, dove l’esuberanza spesso lo portava a liti memorabili, anche con i diretti superiori.
Un carisma notevole, senza dubbio. Una voglia irrefrenabile di emergere e di prendersi il meglio dalla vita, che lo accompagnò sempre, fino al drammatico epilogo a Pizzo Calabro.
Napoleone intuì delle potenzialità in quel baldanzoso cavaliere quando, nel 1795, Murat gli fece arrivare con sollecitudine i cannoni per reprimere una rivolta a Parigi. Già un anno dopo i due erano affiatati, Joachim si adoperò come stretto collaboratore del generale nella prima campagna d’Italia contro l’Austria.
Nel castello di Mombello – che Napoleone scelse come quartier generale e dimora del proprio seguito di familiari, Murat conobbe Carolina Bonaparte 💘 , la capricciosa sorella del grande condottiero còrso, la più piccola della famiglia. Di sicuro Napoleone non vide di buon occhio quel corteggiamento che nel 1800 culminò nelle nozze. Nacque così una delle coppie più ambiziose e spregiudicate sulla scena politica dell’epoca. Dal 1808 fino al 1815 furono re e regina del Regno di Napoli.
Ma quand’è che si incrociano le sorti di questo personaggio straripante e quelle della Calabria? Per rispondere dobbiamo innanzitutto chiarire che, una volta divenuto re, una volta che ebbe un suo dominio da proteggere, gestire, valorizzare, Murat cominciò a maturare un lento distacco dal cognato – che in quel momento era il personaggio militare più temuto d’Europa, nonché imperatore di Francia.
Gli screzi e i disaccordi riguardavano scelte politiche e militari. La disastrosa campagna di Russia – che tra 1812 e 1813 fiaccò e decimò la potenza dei francesi – fu motivo dell’ultima aspra discussione tra i due 🤬 , che generò il distacco quasi definitivo: Gioacchino abbandonò l’armata a Vilnius e se ne tornò nel suo regno.
Murat fu presente tra le forze francesi nella celebre disfatta a Lipsia nell’ottobre 1813. Ma, avendo capito che la stella di Napoleone era sulla via del tramonto, pochi mesi più tardi trovò conveniente allearsi segretamente con Austria e Gran Bretagna.
La fiducia di Napoleone era stata tradita. Per Joachim si trattava di iniziare un nuovo capitolo, valutando le strategie politiche migliori per tenersi stretto il regno napoletano. In realtà i disegni austriaci e inglesi prevedevano la restaurazione del regno borbonico.
Quando Murat capì l’inganno, era ormai tutto compromesso. A nulla valse il cospicuo impegno militare nelle battaglie contro gli austriaci nel maggio 1815, in cui addirittura si intestò i primissimi ideali di unità italiana e liberazione dallo straniero: a Tolentino, nelle Marche, il suo esercito fu disperso e sconfitto.
Riparatosi in Corsica, sappiamo che ebbe persino l’occasione di un salvacondotto per ricongiungersi con Carolina – garantito dagli austriaci. Le cose però andarono diversamente. Non sappiamo come e da chi, Murat fu convinto a mettere su una spedizione eroica per riprendersi il regno.
Fu persuaso che la popolazione avrebbe gradito Murat piuttosto che Ferdinando di Borbone. Salpò con 250 uomini, equipaggio risicato e usurato da una tempesta in mare che spinse i battelli sopravvissuti sulla costa meridionale della Calabria. Era domenica, l’8 maggio 1815, la piazza e le strade napitine erano affollate perché c’era il mercato.
Quasi come in una fiction, gli ignari popolani videro risalire dalla spiaggia questo soldato dalla corporatura gigante, in elegante uniforme, che ad alta voce fece un appello alla gente a sposare la sua causa. Dapprima sorpresa, la folla si dileguò un po’ impaurita quando notò la brigata armata al seguito. Intervennero i gendarmi, e la banda murattiana fu accerchiata anche da cittadini inferociti – ci furono inseguimenti, colluttazioni, spari, sciabolate.
Immobilizzato e condotto in carcere, l’ex re fu ad un passo dal subire un linciaggio di piazza. Con il viso segnato dalle botte prese, Murat fu buttato in una cella umida del castello, ovvero una fortezza militare di origine aragonese. Per avere una prigionia più umana dovette attendere l’arrivo del generale Vito Nunziante (figura di vertice del comando militare borbonico).
Re Ferdinando formò una commissione per giudicarlo ⚖️ , ma quel che avvenne fu una farsa giudiziaria – essendo il destino di Murat già scritto: la corte borbonica voleva la sua eliminazione, e usò quel codice penale fatto approvare dallo stesso Murat quand’era re. Sorte beffarda, egli era giudicato rivoluzionario e sovversivo, meritevole di fucilazione.
Un plotone, che lui stesso diresse in quel doloroso frangente, lo trafisse a colpi di fucile nel pomeriggio del 13 ottobre 1815, nel cortile della fortezza. Prima ebbe il tempo di confessarsi e di scrivere una bella lettera a Carolina e agli adorati figli.
Il castello di Pizzo Calabro ospita oggi delle sale dedicate a Murat e alla sua storia, ed è sicuramente tra le cose che i viaggiatori devono vedere a Pizzo Calabro.