Alla scoperta del Museo Archeologico di Reggio Calabria
Per noi di Core Calabro un museo è qualcosa di molto simile a una palestra.
Un luogo che ti dà un benessere fisico e spirituale, attraverso gli insegnamenti e gli esempi di un maestro, un istruttore che ti guida nella comprensione di alcuni problemi.
Si fa un allenamento mentale che ti porta a capire chi siamo e da dove veniamo.
Ciascun calabrese, ciascun turista, ogni studente adolescente dovrebbe visitare un museo almeno due volte in un anno.
A Reggio Calabria abbiamo un museo archeologico che è tra i più belli al mondo. Da lì dovremmo cominciare.
La sede del museo: palazzo Piacentini
Fu progettato dall’architetto Marcello Piacentini dentro una Reggio ancora sconvolta dal terremoto del dicembre 1908. Negli anni Trenta vide la posa della prima pietra.
L’edificio ha pilastri in travertino che sorgono su un alto zoccolo in pietra lavica, ed è dotato di finestroni che consentono un notevole ingresso di luce nelle sale espositive.
Visitare il museo archeologico di Reggio Calabria è semplicissimo. È collocato tra piazza Giuseppe De Nava e il lungomare (zona nord, vicinissimo a fermata ferroviaria sotterranea di Reggio Calabria Lido).
Si arriva tranquillamente in macchina, in bus o in treno.
Le collezioni esposte a Reggio Calabria
Il museo è la felice unione di più collezioni.
Custodisce l’archeologia meravigliosa dei reperti dell’ottocentesco Museo Civico, insieme a tutte le preziose rarità emerse dagli scavi archeologici condotti in Calabria nel ‘900.
La regione Calabria, dal punto di vista dell’archeologo, è una miniera di tesori ancora da scavare, un cantiere bellissimo.
Le équipe di varie università e del Ministero per i Beni Culturali vanno costantemente alla ricerca delle antiche fondazioni della Magna Grecia.
Paolo Orsi, una figura decisiva, fu il pioniere protagonista delle primissime ricerche.
Il tenace archeologo di Rovereto, che si muoveva quasi come un detective 🕵🏼 , nel 1907 ebbe l’incarico di organizzare la Soprintendenza della Calabria (allora detta «del Bruzio e della Lucania»).
Orsi plasmò l’idea della costituzione di un grande museo dedicato all’eccezionale lascito delle colonie greche, i cui primi approdi sulla costa ionica calabrese sono documentati a partire dai decenni compresi tra VIII e VII sec. a.C.
I reperti di Locri Epizefiri
L’impresa più epica di Paolo Orsi fu rappresentata dalle campagne di scavo condotte a Locri Epizefiri.
Questo era l’antico nucleo abitativo fondato da coloni provenienti dalla Locride, regione della Grecia centrale.
La Locri magnogreca fu uno dei centri culturali più importanti del mondo classico.
Pensate che con il leader politico Zaleuco si elaborò il primo corpus di leggi scritte d’Occidente.
Una dimostrazione di civiltà, affinché nella società locrese non prevalessero le decisioni arbitrarie dei giudici.
Il percorso museale a Reggio Calabria
Un riallestimento generale del museo si è concluso nel 2016.
Si è inaugurato un percorso molto ben congegnato che segue step cronologici e individua aree tematiche.
Per cominciare una visita organica, si parte da su, dal secondo piano.
Si inizia con le sale che documentano – anche con riproduzioni – com’era la vita in Calabria in tempi preistorici e nei secoli immediatamente prima che i Greci si affacciassero sulle sponde del mar Ionio.
I reperti della Magna Grecia nel museo di Reggio Calabria
Al primo piano abbiamo ricchi allestimenti su città e santuari della Magna Grecia.
Parliamo di Sibari, Thurii, Crotone, Kaulon, Locri, Reggio, le subcolonie sul mar Tirreno come Hipponion e Medma.
Ci sono cose di una bellezza sconvolgente, come i quadretti pinakes del santuario della Mannella a Locri.
Sono tavolette in terracotta con bassorilievi legati soprattutto al mito di Persefone.
Dall’interpretazione di queste scene in bassorilievo si possono ricostruire i rituali del culto tributato alla dea nel santuario locrese.
Nel piano ammezzato, tra 1° e pianterreno, si è realizzato un approfondimento sulla vita quotidiana magnogreca.
Il materiale esposto è una testimonianza delle nuove sintesi che si vennero a creare con la fusione tra Greci e popolazioni italiche come i Lucani e i Brettii.
Al piano terra c’è una ragionata serie di reperti che illustra la Reggio greca e quella di età romana. Si può ammirare la corposa serie di testimonianze della necropoli ellenistica (IV-II sec. a.C.) rinvenuta proprio durante la costruzione di palazzo Piacentini.
La sala dedicata ai Bronzi di Riace
È ben comprensibile come, una volta che si è arrivati alla fine del percorso, si metta in moto nel visitatore una sorta di frenesia, di elettrizzante impazienza.
Perché si sa che in quell’ultima sala ci aspetta la coppia di bronzi più famosa al mondo.
Le due grandi statue recuperate dai fondali del mar Ionio a Riace (tra Monasterace e Roccella Jonica) sono i simboli della grandezza storica della Calabria e, in generale, del Sud Italia.
In età classica questa ampia regione del Mediterraneo era davvero un crocevia di culture, commerci, saperi.
La Calabria antica era culla di arte e filosofia, terra fertile e strategica cui Greci e Romani rivolsero pressanti attenzioni.
La punta e il tacco dello Stivale erano al centro del mondo, guardati e ambìti da tutti i popoli che avevano interessi economici nel bacino del Mediterraneo.
Gli altri capolavori nel museo reggino
Dedicheremo specifici reportage ai Bronzi di Riace e a tutte le singole meraviglie del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
Il museo ospita altri pezzi incredibili quali i bronzi e le ceramiche del relitto di Porticello (Stretto di Messina) – la Testa del Filosofo e la Testa di Basilea che fanno compagnia ai guerrieri di Riace nella sala finale.
Qua basti dire che quel fortuito avvistamento subacqueo, del 16 agosto 1972, è stato qualcosa di epocale.
Quella scoperta ha regalato alla Calabria e all’Italia la possibilità di godersi due tesori bronzei di rara bellezza. Oggi si ragiona intorno alle ipotesi – alcune anche audaci – che ricostruiscono la storia dei Bronzi di Riace. C’è un dibattito sulla provenienza (dove e con quali altre statue erano esposti, chi li realizzò…), sulla datazione (V o IV secolo a.C.), su cosa rappresentassero, sulla capacità tecnica, il talento di realizzarli così divinamente.
Gli studi di scienziati e storici dell’arte sono numerosi e noi cercheremo di farveli conoscere.